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24.5.13

Muhammad Ali's greatest fight (id., 2013)
di Stephen Frears

FESTIVAL DI CANNES
SPECIAL SCREENING

PUBBLICATO SU 
La più grande lotta di Muhammad Alì non è quella contro Foreman a Kinshasa, come racconta Quando eravamo re, ma quella contro gli Stati Uniti per affermare il proprio diritto a non prendere parte alla guerra in Vietnam. Stephen Frears in un film per la televisione lo racconta dal punto di vista degli uffici, tenendo Alì fuoricampo, mostrato solo dal materiale di repertorio. I protagonisti sono i giudici della corte suprema. 
Insomma il regista sposta il punto di vista dal pugile allo stato americano, per slittare il tema dal titolo a qualcosa di più universale, ovvero la lotta legale per affermare un diritto.

In questo senso è una piccola truffa, poichè non c'è nulla del grande pugile ma si tratta di una storia di ideali che potrebbe accadere anche ad altre persone, un inno all'America della giustizia, che soverchia le manovrine da corridoio con la forza della fibra morale e l'etica del lavoro.
C'è insomma tutta la benevolenza del mondo dietro questo ritrattino del sistema giuridico statunitense che trascura la vera battaglia di Alì, quella mediatica, quella dei discorsi (mostrati si, ma sempre come condimento), quella delle prese di posizione, le grandi dimostrazioni e della tenacia nel non fare nemmeno un passo indietro da quella solenne decisione.

La versione giocosa e spensierata di un processo che invece è noioso, burocratico e poco avventuroso è tutta diretta ad un'esaltazione di un sistema che anche quando in mano a vecchie cariatidi, anche nel periodo di presidenza repubblicana, anche durante la guerra in Vietnam, si dimostra comunque superiore alle singole piccolezze.
Frears ha la mano fluida come sempre e gira un tv-movie scorrevole e piacevolissimo, però non ha (questa volta) l'abilità di Lumet e della sua Parola ai giurati, e dall'illustrazione di una conquista dialettica non trae uno spaccato umano ma punta di più (e curiosamente) allo stesso obiettivo del Lincoln di Spielberg, ovvero il racconto di quanto le bassezze politiche possano essere finalizzate al raggiungimento di un fine maggiore e più nobile.

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